Il contributo scientifico internazionale della Psicologia allo studio della narrazione
*Sara Della Giovampaola
“INformazione Psicologia Psicoterapia Psichiatria”, n° 40, maggio – agosto 2000, pagg. 68-77, Roma”
L’interesse per le Arti come strumento terapeutico ha dato l’avvio presso la Cattedra di Psicofisiologia Clinica della Facoltà di Psicologia “La Sapienza” a gruppi di studio negli ambiti delle diverse discipline artistiche. La narrazione rappresenta un interessante capitolo della ricerca e clinica psicofisiologica e la presente raccolta bibliografica si inserisce, come sfondo, alle ricerche attualmente in corso.
Partiamo dunque dall’osservazione dello stato dell’arte in letteratura scientifica psicologica dal 1980 ad oggi sul tema della narrazione contestualizzando tale impianto di ricerca e evidenziando orientamenti teorici, metodi, campi applicativi, e variabili di studio entro cui si sviluppa la moderna narrative-terapy.
La narrazione come terapia
“Perché inventiamo storie?” si chiede Alan Parry (1997). “L’uomo è narrativo per natura” dice, e si sofferma sul significato della costruzione narrativa della realtà osservando che “cominciamo a racconatare storie su noi stessi prima ancora di vivere realmente un evento” e sovente creiamo un mondo inventato fatto di storie immaginarie. La narrazione secondo la teoria di Ricoeur diventa strumento terapeutico nel momento in cui la storia raccontata all’interno di una relazione assume un significato ermeneutico (Smith1988).
Dal filone esistenzialista il gruppo di Yalom (Yalom, Yalom 1998) studia la sottile o inesistente demarcazione fra verità e illusione nell’esperienza della lettura di storie d’amore individuando proprio in questo gioco di “finzione/realtà” il nucleo terapeutico dello strumento narrativo. Su questo tema, da un punto di vista psicodinamico, si confronta Luhrmann (1998) che individua nella narrazione il luogo dell'”ambiguità”. Domandandosi perché stili simili che trattano contenuti simili possano produrre nell’ascolto effetti differenti, giunge allo studio dell’ “enfasi narrativa ambigua” osservando che un significato diverso può essere attribuito ad una stessa storia a seconda degli intenti morali del lettore. Da un punto di vista epistemologico Herbert Simmons (1989) studia la funzione della retorica nelle scienze umane osservando come da diversi approcci (etnografia, psicoterapia, giurisprudenza, letteratura, mass-mediologia) la narrazione degli eventi apre interrogativi sul ruolo della retorica nel processo stesso del dare significato di individui e gruppi.
Robert Russel e Mary Wandrei pongono l’accento sullo studio epistemologico del rapporto fra narrativa e processi psicoterapeutici. La narrazione è osservata come “significato primario” che l’uomo attribuisce alla realtà. Raccontarsi diventa cioé uno strumento per rappresentare il passato, trasfromare nel presente l’oggettivo in soggettivo, e pronosticare il futuro; la narrazione risulta così essere “la negoziazione momento dopo momento per l’individuo, per identificarsi e relazionarsi” (Russell, Wandrei 1996).
Il significato terapeutico della narrazione in letteratura è messo in relazione all’uso delle metafore (Mc Mullen, 1996): il linguaggio figurato pare essere una via privilegiata per il cambiamento in quanto le key mettaphors permetterebbero di metariflettere su sé, sulla relazione con l’altro, sui propri vissuti emotivi e comportamentali. Nella stessa direzione lo studio di Groves (1997) che affronta il tema del linguaggio narrativo in analogia al linguaggio onirico; due frammenti di storie e quattro sogni venivano raccontati dai soggetti sperimentali e in secondo luogo analizzati secondo una griglia di lettura lacaniana sulle strutture linguistiche dell’inconscio, individuando forti analogie fra narrazione e narrazione onirica e riconoscendo nel narrare uno strumento utile nell’analisi di strutture profonde.